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domenica 29 aprile 2012

Claudio Malacarne: il grande espressionista italiano


Le atmosfere pittoriche cromaticamente  forti e nette  di Claudio Malacarne evocano  temi importanti, paesaggi, e personaggi che fanno parte della nostra vita. Il pittore mantovano Claudio Malacarne ormai noto in tutta Italia come il più grande colorista vivente è attratto dal paesaggio, dalle vedute litoranee, dai giardini, dagli animali e dalle persone. Nella pittura di Claudio Malacarne c’è una ricerca  culturale e artistica che trova le sue originali motivazioni nella vita di tutti i giorni: che egli fa vivere  su tela attraverso delle figure dai perfetti tagli di luce e dai cromatismi accesi e brillanti. I suoi soggetti che si tratti di un giardino,  un albero, un paesaggio, una casa o un cagnolino  racchiudono  in se stessi la sua sapienza pittorica e lo straordinario effetto ottico dato  dai  contrasti  di colore  scelti da questo grande maestro.
Le sue ultime opere sono dedicate all’acqua,
soggetti difficili ma affascinanti, questi di Malacarne, come sottolineò il grande critico Domenico Montalto, dove l'elemento umano è talora ridotto al minimo indispensabile, a qualche sparuta presenza circondata dall'azzurrità, fatta di una duttile partitura di pennellate (magre o meno, secondo necessità), di segni, di tocchi, di impasti, di velature. Il ruolo dell'artista moderno è parlarci di noi, raccontando esclusivamente di sè. E questo Malacarne lo fa con cordiale franchezza, senza negarci il clima del sogno e dello stato d'animo, ma riproponendo una pittura che, tramata di luce e di colore, è a suo modo una piccola verità, una sintesi di sentimento e di artificio.


Dopo lo straordinario successo ottenuto  recentemente a Roma presso il Chiostro del Bramante dove l’artista Italiano ha esposto insieme a lavori  di Mirò, le sue opere giungono sul Lago di Como e sono in mostra permanente presso la galleria estense arte di Cernobbio. Claudio malacarne è molto amato dal pubblico italiano ed internazionale per la sua alta qualità pittorica, sua professionalità e l’indiscutibile bellezza dei suoi quadri.





La luce è una cosa che non può essere riprodotta ma deve essere rappresentata attraverso un'altra cosa... attraversom il colore. Sono stato contento di me quando ho scoperto questo...
Paul Cezanne



The strong chromatic and pictorial atmosphere of Claudio Malacarne evoke important themes, landscapes, and characters that are part of our lives. The painter  of Mantova Claudio Malacarne now known throughout Italy as the greatest colorist living, is attracted by the landscape, from coastal views, gardens, animals and people.
Claudio Malacarne's painting there is a cultural and artistic research, which has its original motivation in everyday life: that he brings to life on canvas through the figures with perfect slices of light and bright  and shiny colors . His subject matter be it a garden, a tree, a landscape, a house or a dog contain within themselves the wisdom and extraordinary pictorial effect as optical contrasts of color chosen by this great master .



His last works are devoted to water, difficult but fascinating subject, these Malacarne as emphasized the great art critic Dominico Montalto, where the human element is sometimes reduced to a minimum, a few meager presence surrounded by “ blue”, made of a flexible sheet brush, signs, touches, mixtures, shades . The role of the modern artist has to speak to us, telling only of himself. And this does Malacarne with cordial frankness, without denying us the climate of the dream state of mind, but proposing a painting, woven of light and color, is in its way a little truth, a synthesis of feeling and artifice . After the extraordinary success in Rome at the Cloister of Bramante, where the Italian artist has exhibited alongside works of great Mirò. 

venerdì 27 aprile 2012

Villa D'Este - Cernobbio : l'hotel più bello del Mondo: un mix unico di storia, architettura e bellezza




La cittadina di Cernobbio offre meravigliose ville storiche ed importanti. La più famosa a livello internazionale è sicuramente Villa D’Este, fatta costruire da Tolomeo Gallio. Bartolomeo Gallio era di  famiglia agiata e  seguì studi classici sotto la supervisione del suo precettore Benedetto Giovio, che decise di mandarlo, ancora in giovane età, a Roma sotto la protezione di suo fratello Paolo, Vescovo di Nocera . A Roma prima fu al servizio del cardinale Trivulzio, poi passò sotto il cardinale Taddeo Gaddi, prima di stabilirsi presso il cardinale Gian Angelo Medici che, nominato pontefice (Pio IV) il 26 dicembre 1559, volle tenere come suo "segretario proprio" Tolomeo Gallio. Nel 1560 Pio IV lo nominò vescovo di Martirano, il 6 luglio 1562 arcivescovo di Manfredonia (Puglia). Infine, il 15 marzo 1565, grazie ai suoi grandi meriti, il Gallio fu nominato cardinale. Alla morte di Pio IV, nel 1566, lascia l'attività di Curia. Nel 1572 fu nominato "segretario intimo" (l'equivalente oggi di "Segretario di Stato") da Papa Gregorio XIII e ricoprì questa carica per 13 anni, fino al 1585. Gallio era una figura importante ed influente sia a livello ecclesiastico che politico. 


Il progetto originale di Villa d’Este conosciuta come Villa del Garrovo dal nome del torrente che le scorre vicino, fu dell’architetto Pellegrino Tibaldi e la dimora fu venduta ai Gallio nel 700. Successivamente la villa fu ceduta al conte Mariani, poi al Marchese Calderara che riportò la villa al suo antico splendore restaurando gli interni e curando il giardino insieme alla moglie Vittoria Peluso. Alla morte del marchese la vedova si risposò con il generale Napoleonico Domenico Pino e proprio per lodare  dell’importante consorte donna Peluso fece costruire torrette e fortilizi in onore delle sue svariate vittorie. Nel 1815 la villa fu venduta a Carolina Amalia Elisabetta Brunswick moglie di Giorgio IV principe di Galles e futuro erede al trono.
La loro unione non fu idilliaca e Carolina si trasferì a Cernobbio e cambiò il  nome alla sua nuova casa con “ Villa D’Este”   per ricordare le origini “italiane” dei Brunswick. Il fondatore del Casato, Enrico il Leone, era, infatti, il pronipote di Guelfo IV, duca di Baviera, figlio adottivo di Guelfo III dato che questi, rimasto senza eredi, aveva adottato il nipote cioè il figlio della sorella Cunegonda e di Azzo d’Este. A Carolina si deve anche la costruzione della strada che da Como conduceva a Cernobbio. Nel 1820 la principessa tornò in Inghilterra e morì nel 1821.  La villa nel frattempo restò abbandonata per alcuni anni fino all’arrivo del Barone  Ippolito Ciani che fece  risplendere nuovamente la dimora fece costruire in onore della principessa Carolina un bellissimo palazzo  che adibì a stabilimento idroterapico e che chiamò "La Regina d'Inghilterra". Alla sua morte gli eredi del barone non furono in grado di sostenere le spese di gestione della dimora così nel 1873 la trasformarono in un grande albergo di lusso. Villa d’Este dispone oggi di  lus­suosissime camere disposte in due edifici e circondate da un bellissimo parco, in uno degli angoli più belli del Lario.



 E’ dotato di una  piscina ri­scaldata galleggiante sul Lago e di una  piscina coperta, cen­tro benessere, otto campi da tennis, ristoranti, night. Nelle stanze della villa  sono passa­t nei secoli  duchi, re e regine, presidenti, star di Hollywood, scrittori, cantan­ti, musicisti, stilisti. Uno dei primi clienti fu Giorgio Ricordi, che affittò un intero piano del pa­diglione Regina d’Inghilterra e ebbe come ospiti Giuseppe Verdi e  Giacomo Puccini. Sono passati personaggi come Alfred Hitchcock, i du­chi di Windsor, Leopoldo del Belgio, Vittorio Emanuele, i principi di Monaco, Elizabeth Taylor, Frank Sinatra, Barbra Streisand, Madonna, Mick Jag­ger, Bruce Springsteen, John Kennedy, Gorbaciov, Chur­chill, Ava Gardner, lo Scià di Persia, la Callas con Onassis e tanti altri. Recentemente la rivista Forbes ha riconosciuto Villa d’Este come il miglior albergo del mondo: specificando tutti i pregi dell’albergo e che possiede Pa­norama, architettura, bellez­za, servizio, decorazione d’in­terni e storia.



The town of Cernobbio offers wonderful historic and important  mansions . The most internationally known is surely Villa D'Este, built by Tolomeo Gallio. Bartholomeo Gallio was a wealthy family and followed classical studies under the supervision of his tutor Benedetto Giovio, who decided to send him, even at  young age, in Rome under the protection of his brother Paul, Bishop of Nocera. In Rome, he was first in the service of Cardinal Trivulzio, then passed under the cardinal Taddeo Gaddi, before settling at the Cardinal Gian Angelo Medici, who was elected Pope (Pius IV)  in December 26 of  1559, wanted to hold as his "own secretary" Tolomeo Gallio . In 1560 Pius IV appointed him Bishop of Martirano, July 6 oh 1562 and Archbishop of Manfredonia. Finally, 15 March 1565, thanks to its great merits, Gallium was appointed cardinal. On the death of Pius IV, in 1566, leaves the business of the Curia. In 1572 he was appointed "private secretary" (the equivalent today of "Secretary of State") by Pope Gregory XIII and held this position for 13 years until 1585. Gallio was an important and influential figure in both ecclesiastical and political. The original design of the Villa d'Este Villa known as the Garrovo by the name of the small river that flows nearby, was the architect Pellegrino Tibaldi, and the house was sold in 700 to Gallio family. Subsequently, the villa was sold to Count Mariani, then to the Marquis Calderara which brought the house to its former glory by restoring the interior and taking care of the garden with his wife Lady Vittoria Peluso. On the death of the Marquis the widow remarried with General Napoleon Domenico Pino and Lady Peluso ordered the construction of turrets and fortresses in honor of the many victories of his man. In 1815 the villa was sold to Brunswick Carolina Amalia Elizabeth wife of George IV, Prince of Wales and heir to the throne. Their marriage was not idyllic, Carolina moved to Cernobbio and changed the name to his new home "Villa D'Este" to remember the origins of "Italian" of Brunswick. The founder of the House, Henry the Lion, was, in fact, the great grandson of Guelph IV, Duke of Bavaria, adopted son of Guelph III as these, who had no heirs, his nephew that had adopted the son of his sister Cunegonde and d Azzo 'Este.



At Carolina we owe the construction of the road that led from Como in Cernobbio. In 1820, the princess returned to England and died in 1821. The villa in the meantime remained abandoned for some years until the arrival of Baron Ciani  that did shine again to the home and  built in honor of Princess Caroline a beautiful red building that used it as a hydropathic establishment. At his death the heirs of Baron were not able to bear the costs of managing the home so in 1873 was transformed it into a truly luxurious hotel. Villa d'Este today offers  luxurious rooms in two buildings, surrounded by a beautiful park in one of the most beautiful place of the lake. It has a heated swimming pool floating on the lake and an indoor pool, spa, eight tennis courts, restaurants, night. In the rooms of the villa are passed dukes, kings and queens, presidents, Hollywood stars, writers, singers, musicians, fashion designers. One of the first customers was George Ricordi, who rented an entire floor of the pavilion for his guests: Giuseppe Verdi and Giacomo Puccini. Gone are people like Alfred Hitchcock, the Dukes of Windsor, Leopold of Belgium, Vittorio Emanuele, the princes of Monaco, Elizabeth Taylor, Frank Sinatra, Barbra Streisand, Madonna, Mick Jagger, Bruce Springsteen, John Kennedy, Gorbachev, Churchill, Ava Gardner , the Shah of Persia, Callas to Onassis and many others. Recently, Forbes magazine has recognized the Villa d'Este as the best hotel in the world: by specifying all the attributes of the hotel and who owns Panorama, architecture, beauty, service, interior decoration and history.


www.villadeste.com

mercoledì 25 aprile 2012

Stefano Butera: maestro del neovedutismo


Stefano Butera, neovedutista italiano per eccellenza, è un pittore che con i pennelli  in mano non  tentenna  in preda a crisi di identità o di ricerca. Non  espone una pittura fatta di parole, il più delle volte  incomprensibili,  o di concetti celati e nascosti nei meandri più profondi della mente umana. Butera è uno che dipinge sul serio e lo dimostra benissimo in ogni opera. La difficile tecnica adottata dai fiamminghi attraverso le sovrapposizioni di colore ad olio per velatura vive in ogni suo quadro, trasformandolo in qualcosa di magico e appagante. I suoi paesaggi sono dipinti sapientemente ed è innegabile anche agli occhi dell’osservatore meno esperto. Sono di facile lettura visiva e di elaborata tecnica pittorica allo stesso tempo. Le sue vedute  rivelano, nella cura della loro stesura e nella precisione dei particolari, il prezioso legame tra l’artista e la bellezza del territorio italiano, la relazione stretta tra la natura e il suo modo unico di saperla reinterpretare. Butera partecipa attivamente  alla vita dei suoi quadri, subendone il fascino, nutrendoli di sentimento, rendendo meraviglioso ciò che già è superlativo. Le sue vedute sono piene di grazia e   poesia: di immensi orizzonti, di soavi acque carezzate dal vento, di campi  irradiati di sole e di serenità. La maremma toscana, i canneti del lago di Varese e del lago di Pusiano, il Lago di Como e i boschi dell’Insubria sono i suoi soggetti più amati. L’uomo, che un tempo era protagonista delle opere di questo grande artista,  è stato volontariamente escluso dai suoi paesaggi e la natura trionfa in tutto il suo splendore, poichè non compare mai se non solo per intuizione. Butera si dedicò molto alla figura e alla pittura sacra ed ora il suo percorso è all’insegna del neovedutismo: nel suo pensiero di vedere e riproporre il paesaggio in chiave moderna e classica allo stesso tempo.  Gli osservatori hanno la sorpresa di trovarsi di fronte ad un artista di quelli che non si incontrano tutti i giorni, ad un pittore che non ha bisogno di dimostrare nulla di eclatante attraverso provocazioni o misteriosi concetti astratti per far parlare di sé.   Questo artista non ha bisogno di giochi di parole, poiché la sua arte è tutta da vivere e tutta da vedere. Lui è semplicemente  molto bravo, un vero pittore,   un poeta romantico dell’arte. Butera interpreta il suo operato artistico in modo consapevole e propone il suo neovedutismo di qualità indiscutibile amato ed apprezzato dal pubblico e dai collezionisti.


La pittura di Stefano Butera mostra uno stile impeccabile dove maestria ed esperienza si fondo, mostrano il frutto di tanto buon lavoro e di un costante impegno artistico. La creatività di questo  artista è contenuta in schemi tradizionali figurativi,  molto interessanti per un pubblico attento ma leggibilissimi anche da chi si avvicina allo straordinario mondo dell’arte per la prima volta.
Guardando i paesaggi di Butera lo spettatore viene catturato e portato dentro l’opera. Le sue vedute sono talmente reali che chiudendo gli occhi si può sentire il profumo dell’erba appena tagliata, il fruscio del vento che passa attraverso un canneto o il canto delle cicale in estate mentre ci si riposa all’ombra di un ulivo secolare.
Butera è un pittore che non stancherà mai poiché ci mostra luoghi ed emozioni che vivono in ognuno di noi, la bellezza pura e semplice della natura che esplode in un triopudio di potenza e colore.
Le opere di Butera sono in importanti collezioni private, museali e in numerose e prestigiose gallerie d’arte sparse sul territorio nazionale ed internazionale (Montecarlo, Puerto Banus marbella, Milano, Sassari, Orta San Giulio, Portofino, Taiwan, U.S.A.). La sua galleria di riferimento si trova a Cernobbio all'inizio della romantica Strettoia:  la galleria Estense Arte.

www.estensearte.com



La pittura è poesia silenziosa, e la poesia è pittura che parla. (Simonide)


 
video a cura di William Angiuli
 
 


Stefano Butera: Wonderful oil paintings

Stefano Butera,  is a “newview” Italian  artist, a painter with brush in hand wavers not in the throes of identity crisis or research. He does not expose a painting made of words, most often incomprehensible, concepts or concealed and hidden in the deepest depths of the human mind. Butera is one who paints really well and it shows in every work. The difficult technique adopted by the Flemish through overlays of paint for glaze lives in each of his paintings into something magical and rewarding. His landscapes are painted carefully and it is true also in the eyes of novices. They are easy to read visual and pictorial technique developed at the same time. His views reveal, in the care of their preparation and the accuracy of the details, the precious bond between the artist and the nature of the Italian territory, the close relationship between nature and its unique way of knowing how to reinterpret. Butera participates actively in the life of his paintings, and conceded the charm of sentiment and feeding them, making it wonderful what already is superb. His views are full of grace and poetry of immense horizons, gentle waters caressed by the wind, the fields radiated by the sun and serenity. The Tuscan Maremma, the reeds of the lake of Varese and Lake Pusiano, the wonderful Lake of Como and Insubria’s  woods are his favorite subjects. The man who once was the protagonist of the works of Butera has been deliberately excluded from his landscapes and nature triumphs in all its splendor. The man never appears but only by intuition. Butera is very dedicated to the figure and religious painting, and now his career is full of “neovedutismo”: in his mind to see it and relive the landscape in a modern and classic at the same time.





The visitors were surprised to be confronted with an artist who does not meet every day, a painter who does not need to prove anything sensational or provocative to talk about himself. Butera did not need word games since his art is all to live and be seen. He is simply very good and is a romantic poet in his own way of art. Butera presents his art in an informed and proposes its unquestionable quality style loved and appreciated by the audience.
The painting shows a Stephen Butera impeccable style where craftsmanship and experience, show the fruit of so much good work and a constant artistic challenge.
The creativity of this artist is contained in traditional figurative patterns, very interesting for  the popular public  but also those approaching the extraordinary world of art for the first time.
Looking at the landscape of Butera the viewer is kidnapped  and taken inside the work.
His views are so real that by closing your eyes you can smell the scent of freshly cut grass, the rustle of the wind passing through a reed or the song of cicadas in the summer while resting in the shade of an ancient olive tree.
Butera is a painter who never tire because it shows us places and emotions that live within us.
Butera's works are in private collections, museums and many art galleries scattered throughout Italy and in the World .

You'll find Butera's paintings in Cernobbio - Lake Como by Estense Art Gallery
Other Galleries: Taiwan, Montecarlo, Marbella (spain), Sassari, Orta San Giulio, Milan, Usa


martedì 24 aprile 2012

Enzo Santambrogio: di sguardi, di Africa e di altre leggende...


ENZO SANTAMBROGIO (Erba 1965)  scultore e fotografo, si forma artisticamente attingendo esperienza dalla  tradizione della sua famiglia di  fabbri e artigiani della Valassina dove apprende fin da ragazzo le difficili tecniche di lavorazione dei metalli. Dal 1992 svolge una personale ricerca artistica  del tutto personale fatta di scoperte e  sperimentazioni con materiali come ferro, pietra, legno, vetro. Enzo Santambrogio non è un artista come gli altri: la sua creatività ha sempre bisogno  di nuovi stimoli così l’artista intraprende numerosi viaggi che contribuiranno ad arricchire positivamente il suo bagaglio culturale e la sua voglia di scoprire luoghi e persone, climi e stili di vita differenti.  Enzo Santambrogio non si ritiene un artista ma più che altro uno sperimentatore estremo, un uomo  che da anni gira il mondo cercando nuovi sistemi per esprimersi artisticamente. In un’epoca di noiose immagini digitali Santambrogio ferma il tempo e riporta tutto alle  origini della fotografia dove tecnica, esperienza e abilità diventano gli ingredienti essenziali per la riuscita di ogni singolo pezzo. Ogni viaggio dell’artista fa nascere la voglia di non fermarsi mai e di continuare a cercare, di scoprire,  di sperimentare… di vivere !!! Durante uno dei suoi viaggi  si era innamorò delle pietre Mani, quelle pietre votive su cui i fedeli incidono dei mantra o delle figure del Buddha e che  invitano alla preghiera. Santambrogio ebbe l’idea di  avvolgere le pietre  in un foglio di carta di riso e ricalcarne il rilievo scolpito con grafite, ottenendo delle bellissime sindoni  ricche di fascino e spiritualità. Nel 2010 si reca in India e scatta delle bellissime fotografie sviluppate con la tecnica della cianografia, tipica dell’Ottocento. La cianografia è un metodo di stampa ad annerimento diretto ideato tra il 1840 e il 1842. Questa tecnica sfrutta la sensibilità di alcuni Sali di ferro che sottoposti alla luce ultravioletta cambiano dal giallo tenue al blu intenso divenendo  al contempo insolubili in acqua. Il procedimento non necessita dunque di rivelatore poiché l’immagine si forma durante l’esposizione, né di fissaggio dato che l’acqua stessa elimina il sale non esposto. Il vantaggio principale di questa tecnica è soprattutto la semplicità di esecuzione lo  svantaggio la bassissima sensibilità, una scala tonale piuttosto ristretta ed una stabilità limitata nel tempo.



Inoltre la colorazione non è adatta ad ogni soggetto ed è stato pertanto ideato un metodo per virare il blu ad un bruno rossiccio più gradevole. Questo procedimento fu ideato dallo scienziato e astronomo inglese Sir John Herschel a breve distanza dal varo della fotografia da parte di Fox Talbot in Inghilterra e Louis Daguerre in Francia . I viaggi dell’artista lo hanno portato in giro per il mondo ed

avendo un vivo interesse per l’Africa l’artista si è stabilito  sull’isola di Zanzibar per un anno, facendo dell’isola la  base delle sue  “scorribande” fotografiche. E
d è qui, in quest’isola meravigliosa, che Santambrogio trova nuovo materiale per la sua ricerca. Nasce così la raccolta fotografica    “di sguardi, di Africa e di altre leggende..”  esposta al Touring café a Como dal 27 aprile 2012. L’artista ha catturato salienti momenti di vita africana e li propone al pubblico utilizzando ancora una volta la cianotipia.  Fotografie senza tempo e colme di emozioni, una poetica raccolta di vita, capace di suscitare una forte emozione, di colpire il cuore e la mente.



Zanzibar non chiede di essere capita, ma semplicemente compresa con l'anima, con il cuore... con lo spirito del viaggiatore che osserva per la stessa ragione del viaggio. Una anonimo scrissi "Se la vita è un viaggio, chi viaggia vive due volte". Difficile è descrivere: la differenza tra il vivere ed il raccontare: le cose che si vivono tutte d'un fiato, come un bicchiere di vino forte, stordiscono a tal punto che ne sei ubriaco e non riesci a raccontarle a chi non le ha vissute con te.. tutto sembra ridursi ad una semplice descrizione di fatti. Ma più dei fatti conta l'emozione che si è provata. E quella è solo tua e te la porti dentro per sempre...
Enzo Santambrogio

Di sguardi, di Africa e di altre leggende…

p/o Touring Café

Piazza Cavour 29





Marco di Lauro: la magia del Carnevale di Venezia sul Lago di Como


Il Carnevale di Venezia è una delle manifestazioni  più conosciute ed apprezzate al Mondo. Le sue origini sono molto antiche e  la prima testimonianza del carnevale venne da un documento di Vitale Falier, il trentaduesimo doge della Repubblica di Venezia nel 1094. In questo scritto si trovano chiari riferimenti a  divertimenti pubblici  cittadini  nel quale il vocabolo Carnevale venne citato per la prima volta. L’istituzione del Carnevale da parte del sistema di governo veneziano fu generalmente attribuita alla necessità della città di concedere alla popolazione, soprattutto ai ceti più poveri, un breve periodo dedicato interamente al divertimento, allo svago e ai festeggiamenti durante il quale i veneziani e i viaggiatori potevano ritrovarsi in strada  a far festa con musiche e danze utilizzando dei travestimenti. Indossando maschere e costumi era possibile celare totalmente la propria identità, nascondendo a tutti le origini umili o aristocratiche di chi le indossava, creando una sorta di uguaglianza tra tutti i cittadini di Venezia. Nascondendo il proprio volto svaniva ogni forma di appartenenza personale a classi sociali, sesso, religione e ognuno poteva sentirsi libero di essere qualcun altro per un breve periodo di tempo. Si narra che tutte le persone che incrociavano una maschera si rivolgessero a lei o lui con un’unica frase ovvero “Buongiorno signora maschera” ignorando totalmente chi fosse il suo proprietario: un uomo, una donna, un aristocratico, uno straniero o un membro della classe sociale più debole. La partecipazione gioiosa e  misteriosa  a questa festa di travestimento collettivo era, ed è tuttora, l’essenza stessa del Carnevale di Venezia. Tutta la città faceva parte  di un grande palcoscenico colorato e tutta la cittadinanza partecipava attivamente alla realizzazione di uno spettacolo suggestivo ed appagante. La fama del Carnevale uscì dai confini della città e si diffuse rapidamente e così a Venezia nacque  e si sviluppò un importante commercio di maschere e costumi a partire dalla seconda metà del 1200, una nuova professione commerciale che vive ancora oggi nella città lagunare. I materiali più comuni per la realizzazione delle maschere erano l’argilla,  la cartapesta, il gesso e  la garza. Dopo la prima fase che consisteva nella realizzazione del modello,  la maschera veniva terminata con perline, nastri, piume, lustrini ed abilmente colorata dagli artigiani maschereri. Uno dei travestimenti più comuni nel Carnevale antico (e moderno), è sicuramente la bauta. La bauta non era usata solo nei giorni di carnevale, ma per i Veneziani era un travestimento che utilizzavano in svariate occasioni. La bauta è formata da tre parti : un velo nero o tabarro, un tricorno nero, una maschera bianca.





La maschera  era composta da un ampio mantello a ruota nero che, partendo dal capo, scendeva lungo le spalle fino a coprire metà della persona. Sul capo veniva posto il tipico cappello nero a tre punte (tricorno) e sul volto veniva indossata una maschera bianca dal labbro superiore allargato e sporgente sotto un naso minuto che faceva cambiare il timbro della voce, rendendo quindi irriconoscibile chi la indossava. I Veneziani adoravano  questa maschera e  le persone più ricche  erano disposte a spendere moltissimo pur di avere i  tessuti più ricercati e pizzi raffinati per realizzarla.  Nel 1742 il Magistrato alle Pompe tentò  di fermare questo spreco di denaro inutile con diversi decreti e divieti ma  i Veneziani  in risposta aggirarono le imposizioni utilizzando il tabarro, un mantello molto apprezzato sia da uomini che dalle donne,  poichè permetteva loro di nascondere gli sfarzosi abiti ad occhi indiscreti. La bauta era utilizzata sia da tutti ed era d’obbligo alle donne che si recavano a teatro. Solo alle fanciulle in attesa di matrimonio era vietato il suo utilizzo. Durante il Carnevale i Veneziani si concedevano parecchie  trasgressioni e la bauta era perfetta per garantire  l’anonimato. Documenti dell’epoca riportarono che questo travestimento era utilizzato anche dalla classe religiosa da preti e monache che volevano divertirsi senza essere scoperti. Il complice  tabarro aiutava a nascondere le trasgressioni  che venivano compiute nel periodo del carnevale. Un altro costume tipico di quei tempi era la gnaga una maschera a forma di gatto  utilizzata da uomini, donne e da molti giovani che volevano coprire la propria omosessualità. In molti testi storici risultano scritti che indicavano molti giovani travestiti da gnaga aggirarsi nelle osterie e alle feste da ballo per praticare la sodomia e amoreggiare con persone del loro stesso sesso. Un’altro travestimento principalmente riservato alle signore era la moretta ovvero una maschera ovale di velluto nero e veniva utilizzata dalle dame quando si recavano a fare visita alle monache. La moda della Moretta fu  importata dalla Francia si diffuse velocemente a Venezia in quanto era una maschera che donava particolarmente ai  delicati lineamenti femminili soprattutto quando veniva ornata da veli, velette e cappellini . La Moretta era una maschera muta poiché la si portava tenendo in bocca un bottoncino. Tra le maschere veneziane più bizzarre c’è quella del  medico della peste  riconoscibile dal lungo naso simile al becco di una cicogna. In origine questa non era una maschera ma bensì una protezione che utilizzavano i dottori che venivano a contatto con gli ammalati di questo terribile morbo. Questa malattia uccise metà della popolazione di Venezia durante le due epidemie che sconvolsero l'Europa nel 1576 e nel 1630. I Medici della Peste inserivano delle erbe aromatiche all'interno del becco delle maschere, indossavano degli occhiali e toccavano gli appestati e i loro indumenti solamente con una bacchetta di legno. Tutti questi erano considerati mezzi di protezione indispensabili ma completamente inutili per non venire contagiati.



 


Il Carnevale non era solo divertimento e trasgressione. La legge puniva severamente che fosse colto in flagranza di reato con punizioni molto  pesanti: per gli uomini la pena era di due anni di carcere, il servizio per 18 mesi nelle galere della Repubblica Serenissima e il pagamento di una  “multa” di  500 lire alla Cassa del Consiglio dei Dieci. Le donne invece  venivano frustate da Piazza San Marco a Rialto (un bel tratto di strada), umiliate e messe in ridicolo di fronte a tutti in  Piazza San Marco e  bandite per quattro anni dal territorio della Repubblica Veneta ed ovviamente valeva anche per loro il pagamento della sanzione  alla Cassa del Consiglio dei Dieci. L’elenco dei divieti   procedeva di pari passo con l’evoluzione del Carnevale. Ogni anno infatti la legge imponeva un  nuovo limite per frenare questa baraonda irrefrenabile.  Nonostante tutto i Veneziani continuarono imperterriti a festeggiare il Carnevale. Per i vie della città vi erano attrazioni di ogni genere: giocolieri, acrobati, musicisti, danzatori, spettacoli con animali e varie altre esibizioni, che intrattenevano un variopinto pubblico di ogni età e classe sociale, con i costumi più fantasiosi e disparati. Oltre alle grandi manifestazioni all’aperto si diffusero  presto piccole rappresentazioni e spettacoli di ogni genere  presso le case private, nei teatri, nei caffè della città e nelle dimore dei ricchi  veneziani si organizzavano grandiose e sfavillanti feste con sfarzosi balli in maschera. Nel XVIII  il Carnevale  raggiunse il suo massimo splendore ed acquistò prestigio in tutta l’Europa, diventando un’attrazione turistica che fece di Venezia  una mèta ambita da migliaia di visitatori ansiosi di potersi mascherare. In quest’epoca ci fu un personaggio che contribuì alla fama della città, le cui avventure amorose sono famose in tutto il Mondo: Giacomo Casanova, avventuriero, scrittore, poeta, alchimista, matematico, filosofo ma sicuramente più noto a tutti come incorreggibile libertino. Il Carnevale di Venezia era ed è una magia sensazionale che rivive ogni anno in laguna,  anche sulle rive del Lago di Como grazie ad grande artista. Un maestro nella realizzazione delle maschere. Marco Di Lauro, è nato a Como il 15 Aprile 1969. Fin da ragazzo dimostrò un grande interesse  la pittura ed il disegno e dagli inizi degli anni ’80, si dedicò con maggiore interesse a tutto ciò che riguarda l’arte del creare. Le sue prime opere sono degli studi in bianco e nero, per poi approfondire con l’uso del colore. Alla continua ricerca di un proprio stile, si cimentò nella scultura, usando un materiale poroso che riuscì a modellare a suo piacimento.
E’ nei primi anni 90 , dopo un viaggio a Venezia decise di proiettare la propria fantasia e creatività nella realizzazione delle maschere. Nella nostra città è l’unico artista, che si propone la ricerca di linguaggi artistici alternativi, cercando di unire Venezia e Como in un’unica simbiosi, usando le maschere grezze della città lagunare con le sete e le stoffe prodotte nella sua città lariana. Le sue opere sono un crescendo con gli anni, e sono una rivisitazione di sensazioni oniriche che sconfinano in atmosfere surreali e fantasiose, mantenendo le radici ben salde con la tradizione degli artigiani veneti. Nelle sue maschere dalle quali emerge chiaramente la ricerca del passato, gli effetti di doratura e di colore, sono ottenuti attraverso una tecnica elaborata, che si basa sulla stesura di colori acrilici o smalti e la decorazione è ottenuta con la tecnica della foglia d’oro e del rilievo.   Il modo per rendere una maschera con relativo costume originale è per l’artista riuscire a realizzare un’immagine presente nella sua mente, trasformandola in realtà. Le sue opere non sempre sono frutto di un progetto, di una ricerca, di un bozzetto, ma sono la creazione istantanea di una sensazione e di un sentimento. La creazione di una maschera è qualche cosa che va oltre il mascherarsi, è forse l’unica cosa che riesce ad esprimere in qualche modo le sue sensazioni, la sua gioia di vivere, i suoi sogni e la serenità acquisita con gli anni, perché le sensazioni, le gioie e le emozioni non si possono catalogare, metterle in fila, etichettarle; le sensazioni non hanno un punto di inizio, né una fine….ed allora si mescolano, si confondono, si sviluppano attraverso la sua arte.
E’ così che inizia il viaggio della creatività ricco di magia ed emozioni.  Seguite il lavoro di marco a visitando il suo sito
blog.libero.it/marcodlmask/  o la sua pagina facebook Marco di Lauro e le sue creazioni
http://www.maskforsmile.com/



 
 
alcune creazioni dell'artista Marco di Lauro presso la galleria Estense Arte a Cernobbio
 
 

lunedì 23 aprile 2012

Giuseppe Solenghi: grande maestro dell'ottocento lombardo


Giuseppe Solenghi nasce a Milano nel 1879. Giovanissimo inizio è corsi all’  dell'Accademia di Brera (1892-1895).  seguendo i  corsi di prospettiva da Giuseppe Mentessi pittore  nato da povera famiglia ed esponente di punta  con Pellizza da Volpedo, Longoni e Morbelli del gruppo di pittori  sostenitori dell’arte socialmente impegnata. Gli sviluppi della rappresentazione della città di Milano nell'Ottocento si ebbero soprattutto con la Scapigliatura. Giuseppe Mentessi (Ferrara 1857 - Milano 1931), fu introdotto da Gaetano Previati nell'ambiente progressista e bohémien della scapigliatura milanese. Partecipe degli ideali socialisti di Filippo Turati, l'artista non dimenticò mai le sue umili origini e concepì l'esercizio e l'insegnamento dell'arte come missione al servizio dell'umanità. In questo senso, la pittura elegiaca e sempre vicina agli umili di Mentessi.

Successivamente divenne allievo di  Cesare Tallone un maestro amatissimo da tutti i suoi allievi e artista che godette in vita dei consensi unanimi di critica, pubblico e comunità artistica per il suo impegno, dedizione e bravura.  Conclusi i corsi di  formazione  si dedicò per qualche anno all’impegnativa esecuzione della miniatura (1895-1900) e solo dopo questa esperienza e  grazie all'amicizia con Leonardo  Bazzaro, un altro pittore   protagonista dell'Ottocento Lombardo, Solenghi si accostò alla pittura figurativa con vedute urbane e paesaggi romantici. Tra i suoi soggetti preferiti c’è ovviamente Milano, la sua città, il suo amore. Solenghi dipinse Milano con una dolcezza e una delicatezza che traspare da ogni sua opera. Le sue famose nevicate sono piccoli capolavori intrisi di sentimento e pacatezza. I suoi quadri sono semplicemente spettacolari e suscitano emozioni in ogni spettatore. Si dedica al paesaggio naturalistico dipingendo boschi, colline, il lago di Como ed  altri  panorami lombardi e come il Bazzaro amò rappresentare  la laguna di Chioggia. Nel suo repertorio troviamo però anche molti ritratti, specialmente quelli delle celebrità del canto lirico dell’epoca impegnate nelle rappresentazioni scintillanti del Teatro alla Scala di Milano. Spesso i protagonisti dei quadri venivano rappresentati con gli abiti di scena. Solenghi divenne uno dei protagonisti della vita artistica milanese. Era un pittore eccezionale e duttile: passava con semplicità dalla pittura ad olio, al pastello, all’acquarello senza mostrare mai insicurezza o difficoltà di esecuzione. Fu protagonista di  molti eventi d’arte e fu esposto alla  Permanete  e partecipò attivamente agli eventi organizzati dall’associazione Famiglia Artistica Milanese, che opera ancor oggi a Milano dal 1873. Un'ampia rassegna postuma delle sue opere venne allestita nel 1947 presso la Galleria Boito di Milano. Giuseppe Solenghi  è un pittore milanese che ha bisogno di poche presentazioni per chi è del settore o semplicemente appassionato della buona pittura dell’ottocento italiano. Morì a Cernobbio nel 1944.





domenica 22 aprile 2012

Ugo Sambruni: maestro del novecento comasco


Ugo Sambruni è stato un importante artista del Novecento comasco. Cominciò la sua vita artistica da fanciullo a 4 anni, quando dopo la morte di un omonimo zio e lui ne fece il ritratto dopo aver visto una fotografia. Attratto dall'arte da sempre, frequentò la Scuola superiore d'Arte Sacra Beato Angelico sotto la guida del pittore Don Mario Tantardini, per poi proseguire gli studi all'Accademia di Belle Arti di Brera, vicino a maestri e compagni del calibro di Carpi, Messina, Marini e Morlotti. E’ nota anche la sua amicizia con De Pisis, trasferitosi nel capoluogo lombardo dopo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. All'inizio dello scontro bellico, Sambruni fu costretto, con suo rammarico, ad abbandonare tele e pennelli per la chiamata alle armi, ma sarà proprio questa esperienza di guerra a lasciare in lui cicatrici e dolori che allevierà successivamente grazie alla pittura, esternando i suoi sentimenti attraverso la sua intensità materica e cromatica. In quel periodo sul Monte Bianco incontrò Curzio Malaparte che venne ispirato dalla solitudine di Ugo nella stesura dell'opera "II sole è cieco”. Sambruni ha attraversato senza troppo scalpore un intero secolo, compiacendosi delle espressioni e delle tecniche più varie. Dal cubismo all'informale, dalla pittura alla scultura, dal figurativo all'astratto il suo lavoro si è inserito silenziosamente nel vasto scenario artistico del novecentesco, con contributi e risultati del tutto personali. L'artista ha infatti impresso sulle tele tutte le esperienze passate rendendole vive e molto soggettive. Da questa personalità particolare e solitaria e dal carattere un po’ burbero sono nate opere molto d’impatto e ricche di significato. Un artista libero che non seguiva schemi e che non seguiva nessuno se non il suo istinto e la sua passione. Sambruni ebbe una vita semplice ma non mancarono i riconoscimenti al suo operato artistico. Nel 1955 riceve il Premio alla Permanete di Milano, nel 1968 il Premio Segantini a Saint Moritz e nel 1942 fu invitato alla XXIII Biennale di Venezia. Nel 2008 il Comune di Cernobbio rese omaggio al suo illustre cittadino e artista con la mostra "Esplode il mio silenzio" presso le eleganti sale di villa Bernasconi. Furono esposte opere molto singolari, che vanno dal 1940 ai nostri giorni e ripercorrono i tratti umani ed artistici del pittore allora novantenne. I dipinti che furono scelti per la mostra sembravano pagine di un diario storico ricco di cronaca e attualità. Il grande maestro si è spento l’8 gennaio 2011. Le sue opere sono inserite in importanti collezioni private e museali.



L’arte è l’espressione del pensiero più profondo nel modo più semplice.
(Albert Einstein)

sabato 21 aprile 2012

Evergreen Jazz Trio: Swing devastante!


Il jazz è un genere musicale nato  negli Stati Uniti, in un periodo compreso tra l'ottocento e il novecento da un mix di canti di lavoro  degli africani ,portati in America come schiavi e la diversa cultura dei coloni bianchi. Non si ha ancor oggi la massima certezza in merito all’origine del nome infatti molti lo attribuiscono al francese con una chiara derivazione da  “jaser” ovvero ciarlare o chiacchierare, molti altri invece indicano l'espressione generale di New Orleans “jazz them boy”, ovvero “coraggio ragazzi”. In ambedue le versioni si sono studiate e documentate diverse teorie.    La storia del jazz iniziò quando alcuni uomini neri si impadronirono di strumenti musicali che i bianchi non usavano più, come pianoforti scordati o trombe della guerra civile ed iniziavano a suonarli improvvisando  melodie insolite. La libera espressione musicale di questi uomini si sviluppò  e si trasformò in un nuovo stile diverso dagli altri: il jazz. Il fulcro cruciale di questa nascita  fu New Orleans in Louisiana. Grazie  l'abolizione della schiavitù nel 1865  molti neri si trasferirono  nella cittadina per trovare lavoro. Le loro condizioni umane erano migliorate ed avevano acquisito dei diritti come quello di ritrovarsi in magazzini  o scantinati abbandonati per fare musica. C’erano ancora molti divieti per i neri ma avevano la possibilità di emergere nel campo musicale così molti utilizzavano il proprio talento per guadagnare qualche soldo.  Sin dai primi tempi il jazz ha incorporato nel suo linguaggio i generi della musica popolare americana, dal ragtime  al blues, alla musica leggera e colta dei grandi compositori americani. In tempi più recenti il jazz si è mescolato con tutti i generi musicali moderni anche non statunitensi, come il samba, la musica caraibica e anche il rock. Il jazz si è trasformato, nel corso di tutto il XX secolo, evolvendosi in una gran varietà di stili e sottogeneri: dal dixieland di New Orleans dei primi anni, allo swing  negli anni trenta e quaranta, dal bebop della seconda metà degli anni quaranta, al cool jazz e al hard bop degli anni cinquanta, dal free jazz degli anni sessanta alla fusion  degli anni settanta , fino alle contaminazioni  più odierne con il funky e l'hip hop. La formazione jazzistica moderna tipica è costituita da un gruppo musicale di dimensioni limitate. La combinazione più frequente è il quartetto, quasi invariabilmente costituito da una sezione ritmica composta da batteria, basso contrabbasso, pianoforte e da uno strumento solista, generalmente un sassofono o una tromba. Nel nostro caso incontriamo un trio: trio formato dagli strumenti ritmici del jazz: pianoforte, contrabbasso e batteria, che creano una sonorità acustica decisamente sublime quando le corde di pianoforte e del  contrabbasso vibrano all’unisono  creando armonici che ben si fondono con le sonorità più “fredde” dei piatti della batteria o con quelle più profonde delle percussioni. Il repertorio del gruppo è costituito dai più classici "evergreen" del periodo più prolifico dei grandi compositori, che tra gli anni '30 e '50 scrissero temi indimenticabili, che l’Evergreen Jazz trio  ripropone in modo attuale ed odierno conservando però  la caratteristica fondamentale che ne decretò il successo di quel periodo nel passato e nel presente: la carica di swing e l'esecuzione elegante e raffinata dei pezzi. Harold Arlen, Irving Berlin, Hoagy Carmichael, Duke Ellington, George Gershwin, Jerome Kern, Henry Mancini, Cole Porter fanno parte del repertorio di questo trio alternati all' unico autore che ha saputo integrare negli stilemi jazzistici la bossa-nova: Antonio Carlos Jobim. Il trio si propone eseguendo questo repertorio in maniera discreta e raffinata per intrattenimenti  con musica di alta qualità. L’Evergreen Jazz Trio  nasce tra le provincie di Como e Varese ed è composto da Carlo Uboldi, Antonio Cervellino e Marco Caputo. I tre amici suonano insieme da un paio di anni  ed il gruppo nasce dal loro desiderio  di riproporre i grandi standard del passato, chiamati appunto "evergreen", ma arrangiati in chiave moderna, con uno swing davvero inconfondibile. Consigliamo a tutti gli amanti della buona musica il loro disco: The Key of swing e di seguire dal vivo le numerose serate di questo straordinario gruppo di artisti. A Cernobbio il ristorante la Vignetta ospita serate dedicate al Jazz e la programmazione degli eventi comprende anche serate con l’Evergreen jazz Trio.


Il jazz non è né un repertorio specifico, né esercizio accademico... ma uno stile di vita. (L. Bowie)





Seguite il gruppo sulla pagina facebook : Evergreen Jazz Trio